Parte oggi da Napoli l’edizione n. 96 del Giro d’Italia di ciclismo, col solito alone di attesa, pronto a tramutarsi in chilometri di strade assiepate da folle in attesa di applaudire i propri eroi. Quali però? Negli ultimi tre lustri abbiamo assistito alla caduta di troppi miti, non per consunzione fisica, ma per una brutta bestia chiamata doping, semprepiù evoluto per sfuggire ai controlli.
Da quel maledetto 5 giugno 1999, quando un ematocrito impazzito toglieva a Marco Pantani un giro già vinto e la voglia di combattere, troppi sono stati i campioni (almeno presunti) costretti ad ammettere di aver “barato”. Danilo Di Luca, vincitore nel 2007, preceduto da Ivan Basso, fresco di trionfo 2006, Alberto Contador, dominatore dei grandi giri tra il 2008 e il 2010, per finire con la vicenda di Lens Armstrong, padrone del Tour dal 1999 al 2005, sono i primi id una lunga serie di misfatti che vengono alla mente. Dov’è il male? Competizioni troppo dure? La ricerca della certezza del successo? Tutto può essere. È un dato incontrovertibile la durezza di tre settimane di corsa, con tappe faticose solamente da percorrere in automobile, immaginiamoci a bordo di una bicicletta. Ridurre il tutto? Nessuno sembra volerlo, in nome dello spettacolo. E allora che fare? Qualcuno ipotizza di liberalizzare il tutto, trattandosi di persone maggiorenni, vaccinate e professioniste. Potrebbe essere una soluzione, se non fosse che questi campioni sono da esempi a milioni di dilettanti e di ragazzi che potrebbero (e troppi già lo fanno) mutuarne le pratiche, senza per altro essere seguiti da staff di medici pronti a fermarli o a cercare un rimedio. Probabilmente la lotta al doping, e questo non vale solo per il ciclismo, deve partire ed essere molto più dura, dalle attività dei dilettanti e dei giovani. Non possiamo pensare che un ragazzo abituato a “prendere qualcosa perché tanto non mi beccano” diventi pulito una volta che passa professionista. L’aiutino diventa per lui indispensabile!
L’auspicio, per questo giro d’Italia con tappe sulla carta da leggenda come quella del Gavia e Mortirolo, è di poter parlare solamente di fughe, scatti, controscatti, contornati dalla solita cornice di folla in delirio.