IPOCRISIA MEDIATICA: NEOLOGISMI, ANGLICISMI E CARINERIE LESSICALI PER LA DESTRUTTURAZIONE DELLA MONDO OCCIDENTALE

Ipocrisia mediatica: ECCO LA GOCCIA CHE HA FATTO TRABOCCARE IL VASO

Come si diceva, l’intera riflessione che segue prende le mosse dalla notizia secondo cui l’Europa finanzierebbe l’acquisto di proiettili per l’Ucraina attraverso l’EPF – european peace facility -. Si tratta di un fondo istituito nel 2021; il portale Ue lo presenta come necessario per “migliorare la capacità dell’Unione di prevenire conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale.” Prima dello scoppio della guerra tra Russia ed Ucraina esso è stato utilizzato per supportare le forze armate di: Bosnia, Georgia, Mauritania, Ruanda ed Unione Africana.

A prescindere dalle opinioni di ciascuno di noi riguardanti un conflitto che sta distruggendo una delle nazioni più vaste del continente europeo e dalla specificità dell’intervento UE, quello che ci lascia perplessi è proprio il concetto di fondo di pace a supporto di forze armate. È questo un chiaro esempio di ipocrisia mediatica istituzionale! Perché parlare di pace? In un contesto simile termini come ordine e legalità paiono essere molto più appropriati, sebbene meno nnobili e certamente meno facili da far digerire ai “pasdaran” del “politically correct”.

Ipocrisia Mediatica: L’OSSESSIONE DEL POLITICALLY CORRECT

Il “politically correct” è senz’altro l’arma principale con cui l’ipocrisia mediatica si esplica in tutte le sue forme. Prima di analizzarne le forme principali, giova una premessa.

Con l’obbiettivo nobile di non offendere o di non urtare le varie sensibilità, tutto è ammantato di una pellicola atta a rendere più gradevole agli occhi e agli orecchi le realtà più scomode da raccontare e da affrontare nella loro essenza. Al “ciò che è” si tende a sostituire “cio che non è” oppure “ciò che è diverso da”!

NEOLOGISMI E “CARINERIE LESSICALI”

Un chiaro esempio di ipocrisia mediatica legata al politically correct è come ci si rapporta con le persone portatrici d’handicap fisici o sensoriali. L’obbiettivo alla base è senz’altro sacrosanto: trovare un termine italiano col quale eliminare le stigmate a persone considerate inferiori a causa del loro essere! Il restiling ha portato quelli che, un tempo , erano chiamati “handicappati” a divenire “disabili”, non abili -non è – per poi mutare in “diversamente abili” – diverso da -. Parlare di ciechi e sordi, ad esempio, sembra brutto e allora via col “non vedenti” o “non udenti” o col “privo della vista o dell’udito”. Si punta comunque su una mancanza e non sull’essenza della persona, finendo per fallire l’obbiettivo di presentare la menomazione come una caratteristica – alla pare del colore degli occhi o dei capelli – che non può inficiare la dignità e la rispettabilità dell’individuo stesso. Risultato?I pregiudizi rimangono unitamente ai problemi pratici della quotidianità, come l’alta presenza di barriere architettoniche e il basso inserimento nel mondo del lavoro, certamente non meno ardue da affrontare mediante quelle che potremmo definire “pelose carinerie “lessicali!

La creazione di neologismi può altresì diventare un utile mezzo per far digerire all’opinione pubblica situazioni talvolta innaturali. Pensiamo ad uno dei concetti chiave dei due anni di pandemia: quello di “distanziamento sociale” una maniera nobile per chiedere alle persone di non avere contatti tra loro, di separarsi in nome della paura, forzando uno degli istinti primordiali dell’essere umano.

Tornando al punto di partenza, ecco che il fondo per la pace sembra assumere i connotati di una “carineria lessicale” con cui finanziare qualsiasi operazione militare.

ATTENZIONE ED INCLUSIVITÀ

Il mondo politicamente corretto deve risultare attento ed inclusivo. Per attenzione si intende l’aver cura di usare parole che possano escludere. Un chiaro esempio, rimanendo all’ambiente delle persone portatrici d’handicap, è l’usanza – discutibile – di evitare termini come “guardare o vedere” in presenza di individui ciechi. Si tratta di un’attenzione certamente superflua dal momento che la lingua italiana prevede un uso figurato dei vocaboli legati al mondo sensoriale, altrimenti si finisce con l’accentuare quella diversità che si intendeva includere.

Pure l’inclusività è divenuta una delle ossessioni cardine del mondo politically correct! Un esempio è quanto avviene per le produzioni cinematografiche e televisive nelle quali tutti gli ambienti devono necessariamente trovare spazio e dignità, con ripercussioni sul lavoro e sulla creatività di cineasti e registi!

Non bastasse, sull’altare dell’inclusività si stanno sacrificando molte tradizioni della nostra cultura, soprattutto quelle legate alla religione. L’ipocrisia mediatica alla base di simili concezioni finisce con l’esplicarsi nella necessità che la maggioranza si adegui alle minoranze!

GENERE / GENDER

Molto probabilmente l’ipocrisia mediatica tocca le sue vette quando si parla di parità di genere. In nome di una finta inclusione stanno nascendo curiose e stucchevoli dispute linguistiche con le quali si tenta di modificare l’intero lessico, spesso in modo ridicolo. Ci riferiamo alla femminizzazione di termini già neutri di per se o alla pretesa di modificare desinenze perché ritenute discriminatorie.

C’è poi chi sta proponendo di risolvere il problema alla base con un bel asterisco a chiudere sostantivi ed aggettivi, il tutto messo in ridicolo da un video diventato virale col tentativo di sdoganare il corsivo parlato!

Tutto ciò servirebbe ad includere e a non discriminare. Pensiamo solamente alla delibera ministeriale per cui nei moduli riguardanti nostri ragazzi bisognerebbe inserire la dicitura Genitore 1 e Genitore 2 in vece di padre e madre, per non urtare la suscettibilità dei figli delle cosiddette “famiglie arcobaleno”! Viene quindi sacrificato il concetto d’identità rendendo tutti un numero: 1 e 2: qualcuno ha già adottato un metodo simile qualche anno fa, vero?

Quando poi le parole non bastano, nemmeno quelle d’importazione, via con gli acronimi: “LGBTQ” e chi più ne ha e più ne metta! Qui l’identità diventa improvvisamente necessaria: ognuno vuole la propria letterina da esibire, quando non un simbolo! Fra un po’ ci daremo all’algebra!

Anglicismi ed Acronimi

La dicitura “LGBTQ” ci porta direttamente a trattare altri due mezzi di diffusione del “politically correct”: l’uso di anglicismi e di acronimi.

L’adozione di termini stranieri è sempre stata percepita come un modo per rendere la nostra lingua più snella ed efficace, particolarmente quando si è trattato di inserire nel nostro vocabolario lemmi legati agli ultimi ritrovati della tecnologia. Come si sà, però, l’appetito vien mangiando e si è andati oltre! Il ricordo va all’introduzione dei bond, le vecchie cambiali, o al vezzo di etichettare nuove imposte, magari antipatiche, con nomi dal sapore esotico! Un tocco d’esterofilia ha finito per nobilitare una bestialità come l’aver rinchiuso una popolazione agli arresti domiciliari: lockdown è stata la parolina magica!

Una funzione simile la svolge efficacemente anche l’acronimo: poche lettere che nascondono concetti alla base di disegni. I nostri ragazzi hanno passato due anni della loro vita in DAD (didattica a distanza) soli, divisi, in lockdown rispettando rigorosamente il distanziamento sociale.

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