Domenica 20 dicembre 1992, esattamente trent’anni or sono, tutti i quotidiani, sportivi e non, riportano in prima pagina la notizia della tragica scomparsa di Gianni Brera, probabilmente il giornalista più popolare ad aver trattato di sport.
Ironico, divisivo, lontano anni luce dallo stantio “politically correct” dei giorni nostri, Brera è stato l’inventore dell’attuale linguaggio per descrivere le gesta degli eroi della domenica: sia che tirassero calci ad un pallone, sia che si inerpicassero su una delle salite leggendarie del Giro d’Italia o del Tour de France.
Mai come ora la lezione “dbreriana” dovrebbe tornare d’attualità in un mondo sempre più standardizzato.
Ricordando Gianni Brera: VITA OPERE ED OMISSIONI
Una delle motivazioni alla base dell’enorme successo di Gianni Brera presso il grande pubblico risiede nelle proprie esperienze di vita di cui lui non ha mai fatto mistero, a partire dalle umili origini “della bassa” che,a suo dire, lo hanno fatto avvicinare alla moltitudine frequentante le strade delleprincipali corse ciclistiche o gli stadi di calcio.
L’INFANZIA E GLI STUDI
“Giuan Brera fu Carlo” (Giovanni Luigi all’anagrafe) nasce a San Zenone Po, comunità contadina in provincia di Pavia, l’8 settembre del 1919. Di sè stesso ama scrivere: “«Il mio vero nome è Giovanni Luigi Brera. Sono nato l’8 settembre 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, e cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti […] Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po.»
Per volontà del padre Carlo, sarto e berbiere del paese, lascia il paese natale a quattordici anni per trasferirsi a Milano presso la sorella Alice (di professione maestra), e iscriversi al liceo scientifico. Gioca a calcio in alcune formazioni milanesi (infondate sembrano tuttavia le voci di un suo approdo alle giovanili del Milan sotto la guida di Luigi “Cina” Bonizzoni), circostanza che gli permette altresì di cimentarsi nella scrittura dei suoi primi articoli sportivi. trascura tuttavia gli studi, così che il padre e la sorella gli impongono di smettere di giocare e di far ritorno a Pavia, dove termina il liceo e si iscrive alla locale facoltà di Scienze Politiche. Il rapporto col pallone, però, non si interrompe del tutto: diventa corrispondente del “Guerin Sportivo” per la serie C, segnalandosi come una delle “migliori penne” già all’età di diciassette anni.
Per mantenersi agli studi, date le precarie condizioni economiche della famiglia, svolge vari lavori, fino al momento in cui, a causa dello scoppio della II Guerra Mondiale, viene chiamato alle armi.
Arruolato nell’areonautica, Gianni Brera diventa prima ufficiale e poi paracadutista, scrivendo in questa veste alcuni memorabili articoli per diversi giornali di provincia; la sua reale carriera di giornalista inizia proprio qui.
L’ESPERIENZA BELLICA
La sua crescita professionale è evidente, tanto da essere notata negli ambienti giornalistici. la sua bravura gli procura alcune collaborazioni presso testate come il “Popolo d’Italia” e il Resto del Carlino, giornali importanti, ma controllati dal regime fascista. Da fervente oppositore qual’è sempre stato, Il suo disagio all’interno delle redazioni non può che essere forte e palese. E lo diventa ancora di più quando, fra il 1942 e il 1943 le operazioni militari intraprese dal regime cominciano ad andare decisamente male.
Sul piano strettamente privato questi sono anni ricchi di avvenimenti per lui: nel bene e nel male. Perde entrambi i genitori, mentre si laurea con una tesi su Tommaso Moro e in seguito si sposa. Successivamente parte per la Capitale, dove assume il ruolo di redattore capo di “Folgore”, la rivista ufficiale dei paracadutisti. A Roma fa, secondo le parole che userà alla fine della guerra in una memoria, “il vero e proprio comunista in bluff. Il teorico, il poveraccio che non era in contatto con nessuno”.
Nel frattempo in Italia l’opposizione al regime va strutturandosi sempre meglio, facendo una lista sempre più nutrita di proseliti. Qualche esponente della resistenza contatta anche Gianni Brera il quale, dopo non poche esitazioni, decide di collaborare. A Milano partecipa con il fratello Franco alla sparatoria della stazione Centrale, uno dei primi atti di resistenza contro i tedeschi. Insieme catturano un soldato della Wehrmacht, e lo consegnano ad altri estemporanei ribelli, i quali prendono il soldato a pugni e calci. Ma, racconta Brera, “non volli lo uccidessero”. Segue qualche mese di clandestinità, nascosto presso la suocera a Milano o a Valbrona presso la cognata. Di tanto in tanto si reca a Pavia, a trovare l’amico Zampieri, l’unico traballante contatto che ha con le organizzazioni clandestine.
In piena resistenza, però, partecipa attivamente alla lotta partigiana in Val d’Ossola.
IL RITORNO ALLA NORMALITÀ: L’ASCESA ALLA GAZZETTA DELLO SPORT
Il 2 luglio del 1945, a guerra terminata, Gianni Brera riprende l’attività di giornalista alla “Gazzetta dello Sport”, riaperta dopo due anni di soppressione imposti dal regime fascista. Nel volgere di pochi giorni è impegnato nell’organizzazione del Giro d’Italia di ciclismo, la cui partenza è prevista per il maggio successivo. È questo il Giro della rinascita e del ritorno del Paese alla vita dopo i tragici avvenimenti bellici.
Bruno Roghi, dalla prosa dannunziana, è il primo direttore del dopoguerra della “rosea”, mentre tra i giornalisti ci sono Giorgio Fattori, Luigi Gianoli, Mario Fossati e Gianni Brera, nominato responsabile del settore atletica leggera, nonostante egli si fosse proposto pcome giornalista di calcio è box. L’occuparsi di questo sport, totalmente sconosciuto per lui fino ad allora, lo induce a studiare a fondo i meccanismi neuro-muscolari e psicologici del corpo umano. Le competenze così acquisite, unite al suo linguaggio fantasioso e geniale, contribuiranno a sviluppare la sua straordinaria capacità di raccontare il gesto sportivo con passione e trasporto.
Nel 1949 scrive il saggio “Atletica leggera, scienza e poesia dell’orgoglio fisico”. Nello stesso anno, dopo essere stato corrispondente da Parigi e inviato per la Gazzetta alle Olimpiadi di Londra del ’48, a soli trent’anni, assume la condirezione del giornale assieme a Giuseppe Ambrosini. La nomina in così giovane età è frutto degli articli che hanno fatto vivere il trionfo azzurro di Coppi, Bartali e Magni, facendo vendere migliaia di copie al quotidiano sportivo milanese. In questa veste Brera può finalmente di occuparsi della sua prima grande passione: il calcio. Assisté alle Olimpiadi di Helsinki del ’52, tra le più belle del secondo dopoguerra, dominate nel calcio dall’Ungheria di Ferencs Puskas e nell’atletica dal cecoslovacco Emil Zatopek, vincitore di una gara memorabile nei cinquemila metri, stabilendo il record del mondo. Sebbene abbia ereditato dal padre le idee socialiste, Gianni Brera si limita ad esaltare l’impresa di Zatopek sul piano meramente sportivo. Tuttavia il titolo in prima pagina a nove colonne gli attira comunque l’ostilità degli editori, i Crespi, contrariati per l’enorme risalto riservato alle prodezze di un comunista. È evidente che pure la narrazione sportiva risente del clima politico dell’epoca.
Nel 1954, dopo aver scritto un articolo poco compiacente riguardante la regina britannica Elisabetta II, causa di grandi polemiche, Gianni Brera rassegna le proprie dimissioni irrevocabili dalla Gazzetta. Uno dei suoi colleghi amici, Angelo Rovelli, commenta la direzione breriana del mitico giornale rosa in questo modo: “Va pur detto che dirigere, nel senso che definirei tecnico o strutturale, non era nelle sue corde. La “vecchia” Gazzetta esigeva modelli avveniristici, riconversioni, rinnovamenti. Gianni Brera era giornalista-scrittore, nel significato e nella personificazione del termine, le sue aspirazioni non coincidevano con un futuro tecnologico”.
L’AVVENTURA A “IL GIORNO”
Lasciata la Gazzetta dello Sport, Brera compie un viaggio negli Stati Uniti e al suo rientro fonda un settimanale sportivo, “Sport giallo”. Di lì a poco Gaetano Baldacci lo chiama al “Il Giorno”, testata appena creata da Enrico Mattei, per assumere la direzione dei servizi sportivi. Inizia qui un’avventura destinata a cambiare il giornalismo italiano. “Il Giorno” si distingue immediatamente per l’anticonformismo, a partire dal piano politico. Il fondatore Enrico Mattei, presidente dell’ENI, auspica infatti un’apertura a sinistra atta a scardinare il monopolio della Democrazia Cristiana e a favorire l’intervento statale in economia. Pertanto stile e linguaggio sono completamente nuovi, più vicini al parlare quotidiano, con un grande spazio riservato a: costume, cinema, televisione e, naturalmente, sport.
Brera qui si trova nell’ambiente ideale per mettere a punto il suo stile e il suo linguaggio. Mentre l’italiano comune oscilla ancora tra un linguaggio formale e l’emarginazione dialettale (dieci anni prima degli interventi di Pasolini e don Milani), il giornalista pavese si serve di tutte le risorse messe a disposizione dalla nostra lingua, allontanandosi al tempo stesso dai modelli paludati e dalle forme più banalmente usuali. La sua fantasia è il motore per inventare dal nulla miriadi di neologismi.
Per “Il Giorno” Brera segue le grandi corse ciclistiche, il Tour de France e il Giro d’Italia, prima di dedicarsi completamente al calcio, senza smettere però di amare profondamente il ciclismo, su cui ha scritto, tra l’altro, “Addio bicicletta” e “Coppi e il diavolo”, stupenda biografia del “Campionissimo” Fausto Coppi, del quale è stato amico fraterno.
IL GIOCO ALL’ITALIANA E L’AMICIZIA CON NEREO ROCCO
Nella lunga permanenza a “Il Giorno”, durata fino al 1967, Brera ha modo di delineare liberamente le proprie teorie riguardanti la tattica più adatta al calcio italiano. Siamo in un decennio in cui la nazionale azzurra infila un insuccesso dopo l’altro, culminato con la mancata qualificazione al mondiale svedese. La critica è spaccata tra i sostenitori del WM inglese e il gioco all’italiana. Alla luce delle sue conoscenze maturate seguendo l’atletica leggera, combinate con la situazione socio-economica del Paese, egli è persuaso che il cosiddetto “catenaccio” e contropiede sia il sistema più iadatto agli italiani. Diventa un grande sostenitore di Nereo Rocco, soprattutto quando porta il piccolo Padova al terzo posto nel 1958. Quando poi il tecnico triestino si trasferisce al Milan, ne sostiene il lavoro e, soprattutto, ne diventa amico.
Entrambi amanti della buona tavola e del buon vino, in breve i due stringono un saldo rapporto d’amicizia, resistente anche ai possibili urti causati dalla diversa posizione su Gianni Rivera: un lusso per il giornalista di San Zenone Po, un autentico faro per Nereo Rocco.
L'”ARCIMATTO”
Nel frattempo, lasciata la “Gazzetta dello Sport” Gianni Brera riprende anche la collaborazione col “Guerin Sportivo”, che dirigerà dal 1967 al 1976, con la rubrica “Arcimatto”, il cui titolo sembra ispirato all'”Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam, collaborazione che manterrà ininterrotta fino alla fine. Qui Brera, rispondendo ai lettori, ha modo di scrivere non solo di sport, ma anche di storia, di letteratura, di arte, di caccia e pesca o di gastronomia. È il suo modo per dimostrare la sua vicinanza a quella “gente comune” alla quale si è sempre dichiarato orgoglioso di appartenere. In realtà da tutto ciò ne esce una serie di articoli che, oltre a mostrare la sua cultura, si distinguono per l’assenza di retorica e di ipocrisia. Tanta è la qualità contenuta che alcuni di essi sono oggi raccolti in un’antologia.
TRA GIORNALISMO, TELEVISIONE E POLITICA
Dopo la parentesi da editorialista alla Gazzetta tra il 1976 e il 1979, il giornalista di San Zenone Po è di nuovo a “Il Giorno”, per passare nel 1979 al “Giornale nuovo”, fondato da Indro Montanelli dopo la sua fuoruscita dal “Corriere della sera” di Piero Ottone. Montanelli, per aumentare la tiratura del suo giornale, le cui vendite languono, decide di lanciare il numero del lunedì dedicato soprattutto ai servizi sportivi affidati a Gianni Brera.
Sempre nel 1979 il giornalista tenta anche l’avventura politica candidandosi nelle liste del Partito Socialista Italiano alle elezioni parlamentari di quell’anno, sfiorando l’ingresso a Montecitorio. Successivamente si allontana dallo schieramento di Bettino Craxi per entrare nel Movimento Radicale, con cui tenta l’entrata in Parlamento nel 1987, mancando ancora l’elezione.
Nel 1982 Eugenio Scalfari lo chiama alla “Repubblica”, che aveva ingaggiato altre grandi firme, come ad esempio Alberto Ronchey ed Enzo Biagi. È tuttavia l’anno nel quale è commentatore fisso della giornata calcistica alla Domenica Sportiva per la stagione 1982-83, prima assieme a Beppe Viola e,dopo la prematura scomparsa del grande giornalista milanese, in solitaria.
Precedentemente ha altresì iniziato una collaborazione saltuaria e poi fissa, alla trasmissione televisiva “Il processo del lunedì”, condotta da Aldo Biscardi, che ricorda: “In tv ci sapeva fare. La sua ruvidezza espressiva bucava il video, anche se aveva una sorta di diffidenza per le telecamere: “Ti bruciano facilmente”, sentenziava.”
Nelgli anni successivi, infatti, alla professione di giornalista per la carta stampata affianca un’intensa attività televisiva: sia come ospite e opinionista in programmi sportivi, sia come conduttore sull’emittente privata Telelombardia.
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A tarda sera del 19 dicembre 1992, al ritorno da una delle tante cene con il gruppo dei suoi amici, sulla strada tra Codogno e Casalpusterlengo, il grande giornalista perde la vita in un incidente all’età di 73 anni.
IL PENSIERO BRERIANO E IL NOSTRO RICORDO
Gianni Brera rimane senz’altro indimenticabile per molte cose, una delle quali è la sua nota teoria “biostorica”, per cui le caratteristiche sportive di un popolo dipendevano dall’etnos, cioè dal retroterra economico, culturale, storico. Così i nordici sono grintosi per definizione e portati all’attacco, mentre i mediterranei sono gracili e quindi costretti a ricorrere all’arguzia tattica.
Sul piano stilistico è quasi impossibile elencare tutti i neologismi entrati nel linguaggio comune, tuttora in uso presso redazioni e bar sport: la palla-gol, il centrocampista (nome di conio elementare ma a cui nessuno aveva mai pensato), il cursore, il forcing, la goleada, il goleador, il libero (proprio così, il nome al ruolo lo ha inventato lui), la melina, l’incornata, il disimpegno, la pretattica, la rifinitura, l’atipico… Il tutto “governato” nella sua mente da una bizzarra musa “mitologica”, Eupalla, colei che gli dava l’ispirazione per scrivere gli articoli. Celebri rimangono pure i nomi di battaglia appioppati a molti protagonisti del calcio italiano. Rivera viene ribattezzato “Abatino”, Riva “Rombo di tuono”, Altafini “Conileone”, Boninsegna “Bonimba”, Causio “Barone”, Oriali “Piper” (e quando giocava male “Gazzosino”), Pulici “Puliciclone”, e così via.
IL NOSTRO RICORDO
Personalmente noi abbiamo assistito da spettatori all’ultima fase della carriera di Gianni Brera, quella televisiva in particolare, coincisa col momento d’oro del Verona. Ricordiamo il suo impatto con la città, non certo morbido. Tutto è iniziato con una delle sue dichiarazioni senza infingimenti, quando ad una domanda dell’allora conduttora della D.S. Gualtiero Zanetti sul Verona al comando dopo nove giornate, ha risposto di non poter esprimere giudizi dato che “il Verona non lo conosco”. Apriti cielo! La domenica successiva dagli spalti del Bentegodi campeggiava uno striscione con la scritta “BRERA MUSSO” (Brera asino). Siccome dotato di grande ironia, il Giuan non se ne ha particolarmente a male: cerca anzi proprio delle connessioni col suo dialetto lombardo. Quando poi si trova a seguire dal vivo un Inter-Verona, nel quale i giallo-blu rischiano di sbancare Milano, lui rimane folgorato dal gruppo guidato da Osvaldo Bagnoli, che diviene immediatamente lo “Shopenauer” del calcio.
Con la città e con i giornalisti locali nasce una bellissima collaborazione che lo porterà a commentare le prestazioni dell’Hellas. All’interno della trasmissione in questione ci sono dei momenti di satira condotti da un noto cronista-tifoso, il cui protagonista è stato spesso proprio Gianni Brera, il quale non si è sottratto nel duettare in diretta con la propria caricatura.